In India Don Silvio Favrin
Nel novembre 1984 Don Silvio aveva visitato India. Aveva iniziato il suo viaggio a Delhi dove durante il matrimonio indiano di Nadia e Sunil, aveva svolto il ruolo del padre della sposa. Poi era andato a Varanasi e a Bangalore.
Dopo questo viaggio, aveva scritto un articolo per la rivista AIFO.
Questa pagina presenta lo scritto di Don Silvio sull'ospedale-lebbrosario di Sumanahalli a Bangalore e alcune foto da questo viaggio.
Sumanahalli
di Don Silvio Favrin, 1984
Sumanahalli non dovrebbe esistere.
Come Sabra e Chatilla, come Bhopal, come Mathausen o Auschwitz, come i desaparecidos e i gulags: ferite sanguinanti e purulente tenute aperte dalla crudeltà, dell'ipocrisia delle ingiustizie della nostra umanità disumana, e che devono entrare nella coscienza di ciascuno di noi come un peso insopportabile e vergognoso e come una stigmata di ribellione e di impegno.
Sumanahalli è uno "slum" di lebbrosi, a Bangalore nel sud dell'India.
In India il lebbroso diventa un "fuori casta", è considerato morto lui con tutti i suoi familiari; i suoi figli non hanno più nessun diritto sociale, scolastico, politico. Il lebbroso con la sua famiglia entra a Sumanahalli e non uscirà più. Se riesce a scappare per cercare elemosina e qualche rifiuto nelle immondizie, e viene scoperto, è portato in carcere, che non è un carcere, perché il lebbroso non può convivere neppure con i detenuti, con gli assassini, con i ladri, ma il lazzaretto penale.
Il lebbroso può "vivere" soltanto con i lebbrosi.
Le case di Sumanahalli, una addossata all'altra, sono tane fatte di stracci, di fango, di cartoni; i vicoli strettissimi, sono rivoli di fogna e di sporcizia; il cibo non si sa che cosa possa essere; le piaghe imputridiscono. Moltissimi cani, spesso rognosi e affamati e sporchi vivono anch'essi come lebbrosi, uniti in una eguaglianza e promiscuità mostruose, ma forse consolatorie.
Noi "amici dei lebbrosi" seduti su un muretto della "clinica": un tetto sconnesso e cadente, su sei pilastri di mattoni; divisa nel settore medico-diagnostico e in quello delle medicazioni e distribuzione di medicinali, abbiamo visto, per ore e ore, venire avanti il corteo dolente. E noi, visitatori, sentivamo incredulità, ribrezzo , voglia di vomitare, rabbia, compassione, mentre la memoria portava in superficie le solite domande dei benpensanti immersi nel benessere: "ma come è possibile? Ma il governo? Perché nessuno si interessa? E pensare che la lebbra si può curare, e quanti soldi si sprecano per il centro atomico?"
Sono gli alibi giustificativi, di noi evasori di coscienza. Perché Sumanahalli, assieme alla bolgia di brutture e sofferenze è anche il luogo dell'accoglienza, della speranza e dei miracoli.
Sumanahalli è anche il nome del progetto di riabilitazione.
Perché qualcuno invece di fare tante domande, ha incominciato a dare qualche risposta. Il primo miracolo è compiuto ogni giorno dall'incontro e dalla collaborazione nell'unico progetto di 5 diverse congregazioni di suore: Monfortane, della Redenzione, Figlie della Chiesa, Francescane e una congregazione indiana - di varie nazionalità: italiane, francesi, canadesi, spagnole, indiane; assieme a due volontari - Jane e Giuseppe.
Tutti lavorano assieme ad ascoltare, medicare, fare prevenzione, curare, riabilitare, raccogliere orfani ... una vastissima attività per togliere i lebbrosi dall'emarginazione della malattia e dalla maledizione della società. Il progetto Sumanahalli comprende: cinque cliniche che seguono oltre mille malati Hanseniani e le loro famiglie. Controllano periodicamente una popolazione di oltre duecentomila abitanti. L'equipe medico-infermieristica-laboratorista-fisioterapista, si sposta negli slums. Oltre ai malati di lebbra vengono curate le malattie dermatologiche, vengono seguite le donne gravide e i bambini; viene fatta della medicina preventiva.
Poi vi è la Colonia Penale sulla collina.
Vi sono circa cinquanta casette con circa 200 persone. Vi sono 93 malati stabili con i loro figli (43), inoltre 30 mendicanti portati dalla polizia, gli altri restano per periodi più brevi. Ci sono: scuola per bambini e adulti, clinica curativa e preventiva e riabilitativa, laboratori per la lavorazione del cuoio e della lana, agricoltura e sericoltura. Dei 93 Hanseniani stabili, 20 sono plurimutilati anziani o non autosufficienti che non è possibile dimettere, 51 sono dipendenti della istituzione (agricoltura- sericoltura-funghi). Agli altri si cerca di insegnare un lavoro che permetta un inserimento una volta guariti (sarti, ciabattini, lavoro con cuoio e con la lana).
Anche nello slum di Sumanahalli ora qualche baracca di adorna di pulizia e di ordine; molte donne si mettono fiori tra i capelli; si incontrano bambini, moltissimi bambini splendidi, con occhi immensi e luminosi, che neppure quel putridume riesce a sporcare; un tempietto indù decorato con vivaci colori; aiutati dalle suore, da Jane e da Giuseppe alcuni escono dal torpore rassegnato e imparano a lavorare il cuoio, a intrecciare e cucire borse di plastica, a lavorare a maglia, a preparare bastoncini di incenso. Un lavoro meraviglioso e paziente per aiutarli a creare segni di speranza anche nella loro vita e nel loro slum, a lottare contro la lebbra, contro la organizzazione mafiosa di prepotenti, contro la sfiducia e la rabbia e la disperazione; a prendere coscienza che anche loro possono fare qualcosa di buono e utile.
Noi "Amici di Roul Follereau" in Italia, abbiamo a carico l'appoggio a Sumanahalli. Una proposta assurda ma convinta, è che ognuno di noi dovrebbe andare a "vivere" un giorno, a Sumanahalli. Perché non si può pensare, né credere se non ai propri occhi, al proprio odorato, al proprio cuore. Nessuna testimonianza, nessuna descrizione, ma soltanto l'esperienza diretta può rendere "credibile" quella realtà; e tutti i missionari e le suore e i volontari ripetevano: perché gli "amici" non vengono più spesso a vedere e a trovarci?
Che almeno Sumanahalli diventi uno dei nomi della nostra fede, del nostro amore della nostra passione. Non è possibile cantare il gregoriano, finché salgono dalla terra le grida degli oppressi, diceva Bonhòffer. Non possiamo vivere in pace se prima la lebbra e tutte le forme di emarginazione e di sofferenza causate dalle nostre "lebbre" non si incarnano in noi, per aiutarci a credere al valore della povertà, della fraternità, della condivisione.